Introduzione: un déjà-vu che puzza di Grecia

Oh mondio” avresti detto tu, scherzando con quel francese imparato alle medie. Ma qui c’è poco da scherzare. In Francia si respira l’aria pesante che già conosciamo: quella dei corridoi pieni di tensione, dei mercati che tremano, delle piazze pronte a esplodere. Lo scenario è chiaro: deficit fuori controllo, debito che corre e una classe politica incapace di trovare un compromesso. È un film già visto, quello della Grecia nel 2010, quando la parola “troika” – Commissione Europea, BCE, FMI – entrò prepotente nel vocabolario della paura collettiva.

Una montagna di debito che cresce senza sosta

La Francia oggi ha un debito pubblico che sfiora il 114% del PIL. Nel 2019 era al 90%, poi la pandemia lo ha fatto esplodere. A differenza dell’Italia – che pure ha debiti mostruosi – Parigi non ha saputo mettere in atto un piano di rientro credibile. Dopo il Covid, quando molti paesi hanno stretto la cinghia per rimettere in ordine i conti, la Francia ha continuato a spendere. Sussidi, incentivi, bonus: soldi a pioggia, spesso senza un ritorno strutturale sull’economia reale.

Il risultato? Il deficit è al 5,8%, quasi il doppio del limite europeo del 3%. Non è un caso se Bruxelles e la BCE guardano con crescente sospetto a ciò che succede a Parigi.

Mercati nervosi, spread che sale

E i mercati non perdonano. Lo spread tra i titoli francesi (OAT) e il Bund tedesco viaggia intorno ai 77-80 punti base. Non è ancora una cifra catastrofica, ma è il segnale che qualcosa scricchiola. L’Italia – incredibile ma vero – in questo momento paga interessi più bassi della Francia. Una beffa storica per chi ci ha sempre guardato dall’alto.

Le agenzie di rating, da Fitch a Moody’s, hanno già avvertito: se Parigi non cambia rotta, il downgrade è inevitabile. E quando le agenzie cominciano a muovere la penna, i mercati reagiscono con ferocia.

La politica paralizzata

Il nodo non è solo economico: è politico. Dopo le elezioni anticipate del 2024, il Parlamento francese è un mosaico spaccato in tre blocchi: centro, destra e sinistra radicale. Nessuno ha i numeri per governare. Bayrou, l’attuale premier, è seduto su una poltrona che scricchiola più del debito stesso. Ogni legge è una guerra, ogni manovra un campo minato.

L’8 settembre si vota la riforma fiscale per tagliare il deficit di 44 miliardi. Una riforma che prevede tagli brutali e nuove tasse, inclusa una patrimoniale. Ma le probabilità che passi sono scarse. Se cade la legge, cade il governo. E la Francia precipita nel caos.

Il fantasma della Troika

Ed è qui che entra in scena lo spettro della Troika. Per ora è solo un fantasma, evocato dai titoli di giornale e dai sussurri dei ministri. Ma il paragone con la Grecia non è così campato in aria: quando un paese non riesce più a controllare deficit e debito, quando la politica è paralizzata, quando i mercati alzano il costo del denaro, allora entra in gioco il “commissariamento esterno”.

In Grecia fu una cura da cavallo: pensioni tagliate, stipendi ridotti, tasse alzate, disoccupazione alle stelle. Una generazione persa. La Francia non è la Grecia, certo: troppo grande, troppo centrale nell’Unione Europea. Ma è proprio per questo che fa paura: se Parigi crolla, crolla l’intera Europa.

Le piazze che ribollono

La Francia è storicamente un paese che scende in piazza. Lo abbiamo visto con i gilet gialli, lo abbiamo visto con le proteste contro la riforma delle pensioni. Oggi, davanti a nuovi tagli e nuove tasse, il rischio è un autunno di fuoco. Sindacati e movimenti hanno già annunciato manifestazioni e scioperi generali.

In Italia si brontola, in Francia si blocca tutto. E un paese paralizzato non è quello che i mercati vogliono vedere.

Italia: da sorvegliata speciale a “buon esempio”

Il paradosso è che, per la prima volta dopo anni, l’Italia non è più l’anello debole. Roma ha un debito più alto, certo, ma negli ultimi anni ha dimostrato di saperlo almeno tenere sotto controllo. Lo spread è sceso, i conti sono stati rientrati, e Bruxelles ci guarda quasi con rispetto.

Non è un trionfo: la nostra economia resta in recessione, il ceto medio è in difficoltà, le fabbriche chiudono. Ma rispetto al disastro francese, sembriamo i primi della classe. Un risultato che fa sorridere amaramente.

Il rischio di una spirale negativa

Se la Francia non approva la riforma fiscale, lo scenario è chiaro: i mercati reagiscono, lo spread sale, il rating scende, il costo del debito aumenta. Con più interessi da pagare, aumenta il deficit. E il cerchio vizioso si stringe.

In questo quadro, il passo verso un governo tecnico o un commissariamento europeo diventa più breve. Non sarà la troika di Atene, ma sarà comunque una perdita di sovranità.

Un’Europa senza guida

La crisi francese è il riflesso di un’Europa che non ha più una strategia. Germania in recessione, Italia in stagnazione, Francia sull’orlo del caos. La locomotiva europea si è fermata, e nessuno sa come riaccenderla.

In questo vuoto, i mercati comandano, e i cittadini pagano il prezzo. La politica discute, litiga, si divide. Ma i numeri, quelli no, non mentono: i nodi stanno venendo al pettine.

Conclusione: il malato d’Europa

Oggi il titolo di “malato d’Europa” spetta alla Francia. Non è un giudizio, è un dato di fatto. E il destino di Parigi non riguarda solo i francesi: riguarda tutti noi. Perché se cade la Francia, cade l’euro.

E allora sì, potremo ricordare con ironia quel francese delle medie. Ma non ci sarà nulla da ridere quando la prossima riunione straordinaria a Bruxelles deciderà il futuro della seconda economia europea.

La Francia non è la Grecia. Ma la linea che separa un grande paese europeo da un commissariamento esterno, quando i conti esplodono e la politica non decide, è più sottile di quanto immaginiamo.