Per ottenere qualcosa dall’Europa bisogna trattarla male.
Non è una provocazione, è un dato di fatto. Lo hanno capito tutti, dai grandi alleati come gli Stati Uniti, fino ai piccoli Stati che osano alzare la testa. Bruxelles non ascolta le ragioni, non rispetta le necessità dei popoli: si piega solo davanti a chi sa urlare più forte, a chi sa minacciare o ricattare. È questa la condizione di una Unione Europea che ha perso l’anima e che oggi sembra vivere solo per compiacere interessi esterni, anziché difendere quelli interni.

In questo scenario, due figure emergono con forza: Viktor Orban, primo ministro ungherese, e Robert Fico, premier slovacco. Due leader che non hanno paura di andare controcorrente, di dire no alla linea bellicista anti-russa, di difendere la sovranità nazionale quando tutti gli altri hanno già consegnato le chiavi dei loro paesi a Bruxelles e a Washington.

Il diktat di Antonio Costa: “Basta gas russo!”

Pochi giorni fa, il nuovo presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha intimato a Orban di smettere di comprare gas dalla Russia. Non un invito, non un consiglio: un ordine. “Budapest deve fermare gli acquisti, la guerra non permette compromessi”, ha dichiarato Costa.

Eppure, la realtà è chiara a tutti: l’Ungheria non compra gas russo per fare un favore a Putin, ma per sopravvivere. Senza quelle forniture a prezzi competitivi, le famiglie ungheresi pagherebbero bollette insostenibili e l’industria crollerebbe. E Orban non intende permetterlo.

Mentre Bruxelles si vanta di aver ridotto dell’80% le importazioni da Mosca, come se fosse un trofeo, i cittadini europei pagano prezzi più alti, le imprese chiudono e i salari reali si erodono. È un “successo” che distrugge chi dovrebbe proteggere.

Il paragone del latte: il suicidio energetico europeo

Orban ha spiegato la questione con una metafora semplice, che rende tutto chiaro.
È come avere sotto casa un negozio che ti vende il latte a 1 euro. Tu da anni compri lì, senza problemi. Poi arriva un “amico” che litiga con quel negozio e ti dice: “Sei mio alleato, quindi non puoi più comprare lì. Devi andare 50 km più lontano e pagare il latte 4 euro”. Peccato che quel negozio lontano sia suo.

Questa è l’Europa oggi: abbiamo rinunciato al gas russo, economico e vicino, per comprare GNL americano trasportato via nave, con costi enormi e infrastrutture inadeguate. Un autogol clamoroso, imposto da chi ha tutto da guadagnare nel venderci energia più cara.

L’Europa che calpesta la sovranità

L’Unione Europea era nata come progetto di cooperazione. Oggi è diventata un ente sovranazionale senza legittimità popolare, che pretende di imporre decisioni strategiche ai singoli Stati. Non un coordinamento, ma un ricatto.

Pensiamo all’Italia: ci impongono vincoli di bilancio che impediscono investimenti in sanità, infrastrutture, ricerca. Ogni euro speso deve essere giustificato, altrimenti scatta la sanzione. Ma se si tratta di inviare miliardi in armi a Kiev, allora tutto è consentito. Le regole spariscono. L’austerità non vale più. È la dimostrazione che questa Unione non è al servizio dei cittadini, ma di un’agenda esterna.

Orban e Fico: i due ribelli del centro Europa

Orban e Fico non sono santi. Usano il loro potere di veto anche per ottenere concessioni. Ma la sostanza resta: difendono i loro paesi. Non si inginocchiano. L’Ungheria e la Slovacchia continuano a comprare energia russa perché non hanno alternative realistiche, e perché non vogliono suicidarsi per far piacere alla NATO.

E proprio per questo Bruxelles li odia. Perché smascherano l’ipocrisia degli altri governi, che in pubblico gridano contro Mosca, ma in privato continuano ad acquistare gas e petrolio attraverso triangolazioni, come ha denunciato lo stesso ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó.

Zelensky: promesse impossibili

Nel frattempo, Volodymyr Zelensky chiede a tutti di smettere di comprare gas russo, promettendo forniture alternative. Ma come può garantire ciò che non ha? Le infrastrutture energetiche ucraine sono state devastate dai bombardamenti. Lo stesso governo di Kiev ha ammesso che quest’inverno avrà bisogno di importazioni dall’estero.

Eppure Zelensky si permette di “offrire” energia a Slovacchia e Ungheria, chiedendo in cambio che smettano di comprare dalla Russia. Una promessa vuota, un paradosso che dimostra l’assurdità della situazione.

Ungheria: un paese che funziona

Quest’anno ho visitato l’Ungheria. E la differenza con molte capitali occidentali è impressionante. Budapest è pulita, sicura, ordinata.

Non vedi migranti clandestini accampati ad ogni angolo, non ci sono quartieri interi lasciati al degrado, non c’è paura di camminare per strada. Le famiglie girano in bicicletta, le donne escono da sole la sera. L’insicurezza che in Italia, Francia o Germania è diventata normalità, in Ungheria è quasi inesistente.

Perché? Perché Orban ha messo prima di tutto la sicurezza dei suoi cittadini. Ha chiuso le frontiere durante la crisi migratoria, ha rifiutato le quote di ricollocamento imposte da Bruxelles, ha detto no al caos. E i risultati si vedono.

Il nodo demografico e culturale

Bruxelles accusa Orban di non rispettare i “valori europei”. Ma quali valori? Quelli che hanno trasformato le città europee in territori fuori controllo, dove la criminalità esplode e dove i cittadini hanno paura di uscire di casa?

L’Ungheria difende la sua identità, la sua cultura, la sua coesione sociale. Non è un caso che il tasso di natalità ungherese, pur tra mille difficoltà, sia in risalita grazie alle politiche familiari di Orban. Mentre in Italia e in Germania la popolazione invecchia e i governi pensano solo a importare migranti, in Ungheria si sostengono le famiglie.

Leader o servi?

E allora la domanda diventa inevitabile: chi è il vero leader oggi in Europa? Colui che difende i suoi cittadini, anche sfidando Bruxelles, o chi obbedisce ciecamente a ordini esterni distruggendo il futuro del proprio popolo?

Orban e Fico possono essere criticati, possono essere duri, possono fare calcoli politici. Ma agiscono per i loro popoli.
I nostri leader, invece, hanno smesso da tempo di agire per gli italiani, per i francesi, per i tedeschi. Obbediscono a un copione scritto altrove.

Conclusione

L’Unione Europea oggi non è più un sogno di cooperazione. È diventata una macchina che impone sacrifici, che punisce chi dissente, che celebra decisioni suicide come vittorie.

In mezzo a questo disastro, l’Ungheria di Orban brilla come esempio di resistenza. Non perfetta, non santa, ma vera. Un paese che mette prima i suoi cittadini, che non si vergogna di difendere i propri confini, che non si lascia incatenare da decisioni assurde.

Forse servirebbero più Orban in Europa. Non per dividere, ma per ricordare a Bruxelles che l’Europa dovrebbe essere dei popoli, non dei burocrati.

Perché chi ama davvero il suo popolo non lo svende. Lo difende, fino in fondo.