Ci sono momenti nella vita in cui tutto sembra andare al proprio posto.
Dopo anni di attese, di rinunce, di notti in cui conti e riconti i risparmi chiedendoti se mai basteranno… finalmente arriva il giorno in cui firmi. La penna scorre veloce sul contratto, le pagine si girano una dopo l’altra, e con ogni firma ti avvicini sempre di più a quello che è stato, per tanto tempo, un sogno sospeso.

Ho comprato casa.

Dirlo così sembra semplice. Ma dietro ci sono stati anni di lavoro, di calcoli, di discussioni su cosa fosse meglio fare, di compromessi e di scelte a volte dolorose. Io e mia moglie abbiamo stretto i denti, abbiamo tagliato spese inutili, abbiamo rinunciato a cose che in quel momento ci sembravano piccole ma che, messe insieme, hanno fatto la differenza.

E poi, finalmente, quella porta si è aperta.

La prima volta che siamo entrati, la casa era vuota.
I muri bianchi, il pavimento freddo sotto i piedi, l’eco dei nostri passi che rimbalzava da una stanza all’altra. Non c’erano mobili, non c’erano ricordi, non c’era vita. Solo spazio, tanto spazio, e un silenzio quasi solenne. Era nostra.

Abbiamo deciso di fare tutto con le nostre mani.

Non abbiamo cambiato i pavimenti, li abbiamo lasciati com’erano. Ci sembravano un punto di partenza solido, e in fondo avevano un loro fascino. Ma ogni altra cosa… quella sì che l’abbiamo toccata, modificata, scelta. Abbiamo passato serate intere a discutere di cucine: colori, materiali, disposizione. Io che volevo più spazio per cucinare, lei che cercava un’estetica elegante ma calda. Alla fine abbiamo trovato il compromesso perfetto: la cucina che avevamo sognato, quella che oggi è il cuore pulsante della casa.

La stanza da letto è stata un’altra avventura: scegliere l’armadio giusto, il letto, la biancheria. Sembrano dettagli, ma sono scelte che definiscono il nostro quotidiano. E poi ci sono state le tinteggiature: i muri sono rimasti bianchi, ma abbiamo passato giorni interi a sistemare imperfezioni, a ridare uniformità, a farli brillare di una luce nuova.

Poi è arrivato il trasloco.

E lì, il sogno si è un po’ scontrato con la realtà.
Scatoloni ovunque, mobili da montare, mille intoppi. Gli ultimi mesi sono stati una corsa continua: lavoro di giorno, lavori in casa la sera, weekend passati a pulire, ordinare, sistemare. Ogni cosa sembrava richiedere il doppio del tempo previsto. Ogni piccolo ostacolo diventava una prova di pazienza. E intanto la stanchezza cresceva, insieme a una sottile frustrazione.

Il garage è ancora un cantiere mentale: so che devo metterci mano, ma manca sempre il momento giusto. La cantina è lì, in attesa. E poi c’è quello scaffale su misura in legno che da mesi mi riprometto di costruire. Lo vedo nella mia testa: robusto, capiente, perfetto per l’angolo che abbiamo lasciato libero. Ma tra lavoro e impegni, resta un progetto in sospeso. Le tende? Ancora niente. Prima bisogna trovare quelle giuste, e non voglio scegliere in fretta qualcosa che poi non mi convincerà.

Eppure, anche con tutto questo da fare, la casa è viva. Ogni angolo parla di noi, di quello che abbiamo voluto, scelto, faticato per avere.

E allora perché… non riesco a gioire del tutto?

Tutto dovrebbe urlare: "Ce l’hai fatta!"
E invece, dentro, è come se qualcosa rimanesse bloccato.
Ogni volta che raggiungo un traguardo, la mia mente si sposta subito su ciò che manca. È come se ci fosse una voce che sussurra:

"Non basta. Non sei ancora lì. Manca qualcosa."


La mente si fissa su quello che non c’è, anziché abbracciare quello che c’è.
E questa sensazione è logorante. Mi fa sentire come se stessi vivendo a metà, incapace di godermi appieno il frutto di anni di fatica.

So che dovrei fermarmi.
Respirare. Guardare la mia cucina illuminata dalla luce del mattino e pensare che questo momento è già abbastanza. Dovrei riuscire a sentire gratitudine senza condizioni, ma è come se ci fosse un difetto dentro di me, invisibile agli altri, che mi impedisce di sentirmi davvero a casa anche quando sono… a casa.

E la verità è che mi fa male.
Mi fa male non riuscire a dire: "Va bene così".
Mi fa male sentire che la mia felicità è sempre un po’ più in là.

Non cerco compassione.
Non cerco risposte magiche.
Solo un po’ di pace interiore.
Solo il coraggio di dire, finalmente:

"Oggi basta. Mi godo ciò che ho.
E mi permetto di sentirmi bene.
Anche solo per un attimo."


Se anche tu ti senti così, sappi che non sei solo.
Forse la vita è proprio questo: imparare a respirare anche quando tutto non è perfetto. Imparare a riconoscere che la felicità non è l’assenza di mancanze, ma la capacità di trovare bellezza e significato in quello che già abbiamo.